Oratorio di Sant' Antonio da Padova (Sec. XVII)
Scheda
Nome | Descrizione |
---|---|
Indirizzo | Frazione Roledo |
Apertura | Aperta al pubblico Richieste di visita presso la Parrocchia |
Tariffe | Gratuito |
Pubblicazioni | Storia di Montecrestese di Tullio Bettamini - Edizione di Oscellana (Domodossola 1991) |
Il primo oratorio di Roledo non era dedicato a S. Antonio da Padova, ma a S. Bartolomeo. Questa dedicazione ci riporta molto indietro nel tempo, quando questo Santo apostolo era considerato uno dei protettori e, forse, il primo protettore specifico dalla peste e da altre malattie infettive che colpivano sia gli uomini che gli animali.
Erano frequenti nei tempi antichi alcune malattie della pelle quali la scabbia, la lebbra, Perpes zoster (detto anche Fuoco di S. Antonio), il lupus, ecc. S. Bartolomeo è sempre raffigurato con in mano un coltello e, talvolta, anche una pelle umana, simboli del martirio subito, essendo stato spellato. Così dovette essere stato rappresentato nel minuscolo oratorio a lui dedicato a Roledo probabilmente già nel secolo XIV o al più tardi nel secolo XV. E' questo infatti il tempo in cui la devozione al Santo apostolo e martire si sviluppa nell'Ossola e gli sono dedicate alcune chiese, come quelle di Villadossola e di Villette.
Successivamente a S. Bartolomeo si aggiunsero anche i titoli, di S. Biagio e S. Rocco, tutti Santi protettori dalle stesse malattie ed in particolare dalla peste che dal secolo XIV in avanti ricorreva con qualche frequenza nell'Ossola e nelle regioni vicine. La prima notizia scritta che abbiamo dell'Oratorio di Roledo è tuttavia del secolo XVI. Il 4 Maggio 1530 Caterina, vedova di Jorio Allegrina di Roledo, facendo testamento, istituì e fondò una cappellania perpetua nell'Oratorio di S. Bartolomeo di Roledo (qui detto Rogoledo) in onore del Santo, assegnando in dote al cappellano un annuo reddito.
Questo consisteva in due staia di grano e una brenta di vino che dovevano essere ogni anno pagate dai proprietari dei beni gravati da questo lascito, dei quali si era riservato il dominio diretto. Il cappellano a sua volta doveva celebrare due Messe al mese nell'Oratorio nei primi sei mesi dell'anno e tré nei mesi seguenti. Il documento originale di fondazione di questa cappellania fu presentato al vescovo di Novara mons. C. Bascapè in occasione della sua visita pastorale del 9 Ottobre 1603 (1).
Si deve supporre che questa cappellania abbia assicurato per un certo tempo il funzionamento dell'Oratorio, fino a quando almeno i possessori dei fondi gravati dalla testataria versarono al cappellano il debito tributo. Ma l'esiguità del reddito e la forte tendenza dei proprietari ad esentarsi da questi obblighi fece sì che per alcuni anni l'Oratorio restasse pressoché deserto. Infatti in nota agli Atti di Vi sita del Bascapè è scritto che "questo fitto non fu pagato da molti anni" (2).
Nella riforma seguita al Concilio di Trento i vescovi tuttavia insistevano perché i beni assegnati a tutti gli scopi pii fossero rigorosamente ricercati e rimessi in vigore al fine di non lasciar deluse le intenzioni degli offerenti e di non favorire i disonesti.
Negli Atti di Visita pastorale di mons. Romolo Archinto, fatta dal 13 al 17 Maggio 1582, l'Oratorio di Roledo è denominato Oratorium Sancii Blasii de Roledo sive Sancii Bartholomei. Il titolo di S. Biagio viene qui espresso per la prima volta (3). Viene poi ricordato questo Oratorio anche nelle successive Visite e specialmente in quella già citata di mons. Bascapè il quale esorta a rimetterlo in funzione ed a tale scopo emana un ordine perentorio: Facciano i curati istanza agli eredi di Giovanni Pranzino di Roledo a pagar la brenta di vino che devono dare all'Oratorio di S. Bartolomeo per tutto il tempo che hanno mancato e più gli eredi di Pietro di Guglielmo del Toggio per il suo tempo che hanno mancato; altramente non s'ammettano ai Sacramenti senza licenza di Mons. Rev.mo, e poi il tutto si spenda ad esseguir gli ordini del detto Oratorio (4), ossia per fornirlo di suppellettili necessarie per le funzioni liturgiche.
Erano questi metodi coercitivi molto paventati e quindi efficaci per ottenere l'effetto voluto.
Una breve descrizione dell'Oratorio ci è fornita dagli Atti di Visita pastorale del cardinale F. Taverna del 12 Settembre 1616: L'Oratorio è piccolo e angusto, tutto coperto da una volta e dipinto con immagini sacre. E' pavimentato con calcestruzzo. E' aperto anteriormente, ma difeso da un cancello di legno.
Erano frequenti nei tempi antichi alcune malattie della pelle quali la scabbia, la lebbra, Perpes zoster (detto anche Fuoco di S. Antonio), il lupus, ecc. S. Bartolomeo è sempre raffigurato con in mano un coltello e, talvolta, anche una pelle umana, simboli del martirio subito, essendo stato spellato. Così dovette essere stato rappresentato nel minuscolo oratorio a lui dedicato a Roledo probabilmente già nel secolo XIV o al più tardi nel secolo XV. E' questo infatti il tempo in cui la devozione al Santo apostolo e martire si sviluppa nell'Ossola e gli sono dedicate alcune chiese, come quelle di Villadossola e di Villette.
Successivamente a S. Bartolomeo si aggiunsero anche i titoli, di S. Biagio e S. Rocco, tutti Santi protettori dalle stesse malattie ed in particolare dalla peste che dal secolo XIV in avanti ricorreva con qualche frequenza nell'Ossola e nelle regioni vicine. La prima notizia scritta che abbiamo dell'Oratorio di Roledo è tuttavia del secolo XVI. Il 4 Maggio 1530 Caterina, vedova di Jorio Allegrina di Roledo, facendo testamento, istituì e fondò una cappellania perpetua nell'Oratorio di S. Bartolomeo di Roledo (qui detto Rogoledo) in onore del Santo, assegnando in dote al cappellano un annuo reddito.
Questo consisteva in due staia di grano e una brenta di vino che dovevano essere ogni anno pagate dai proprietari dei beni gravati da questo lascito, dei quali si era riservato il dominio diretto. Il cappellano a sua volta doveva celebrare due Messe al mese nell'Oratorio nei primi sei mesi dell'anno e tré nei mesi seguenti. Il documento originale di fondazione di questa cappellania fu presentato al vescovo di Novara mons. C. Bascapè in occasione della sua visita pastorale del 9 Ottobre 1603 (1).
Si deve supporre che questa cappellania abbia assicurato per un certo tempo il funzionamento dell'Oratorio, fino a quando almeno i possessori dei fondi gravati dalla testataria versarono al cappellano il debito tributo. Ma l'esiguità del reddito e la forte tendenza dei proprietari ad esentarsi da questi obblighi fece sì che per alcuni anni l'Oratorio restasse pressoché deserto. Infatti in nota agli Atti di Vi sita del Bascapè è scritto che "questo fitto non fu pagato da molti anni" (2).
Nella riforma seguita al Concilio di Trento i vescovi tuttavia insistevano perché i beni assegnati a tutti gli scopi pii fossero rigorosamente ricercati e rimessi in vigore al fine di non lasciar deluse le intenzioni degli offerenti e di non favorire i disonesti.
Negli Atti di Visita pastorale di mons. Romolo Archinto, fatta dal 13 al 17 Maggio 1582, l'Oratorio di Roledo è denominato Oratorium Sancii Blasii de Roledo sive Sancii Bartholomei. Il titolo di S. Biagio viene qui espresso per la prima volta (3). Viene poi ricordato questo Oratorio anche nelle successive Visite e specialmente in quella già citata di mons. Bascapè il quale esorta a rimetterlo in funzione ed a tale scopo emana un ordine perentorio: Facciano i curati istanza agli eredi di Giovanni Pranzino di Roledo a pagar la brenta di vino che devono dare all'Oratorio di S. Bartolomeo per tutto il tempo che hanno mancato e più gli eredi di Pietro di Guglielmo del Toggio per il suo tempo che hanno mancato; altramente non s'ammettano ai Sacramenti senza licenza di Mons. Rev.mo, e poi il tutto si spenda ad esseguir gli ordini del detto Oratorio (4), ossia per fornirlo di suppellettili necessarie per le funzioni liturgiche.
Erano questi metodi coercitivi molto paventati e quindi efficaci per ottenere l'effetto voluto.
Una breve descrizione dell'Oratorio ci è fornita dagli Atti di Visita pastorale del cardinale F. Taverna del 12 Settembre 1616: L'Oratorio è piccolo e angusto, tutto coperto da una volta e dipinto con immagini sacre. E' pavimentato con calcestruzzo. E' aperto anteriormente, ma difeso da un cancello di legno.
Tratto da:
Storia di Montecrestese di Tullio Bettamini - Edizione di Oscellana
(Domodossola 1991)
Allegati
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